di MAX CAVALLARO
MILANO – Il futuro è già qui ed ha un nome. Il futuro dello sport italiano è atteso a prove di rinnovamento importanti se vuole sopravvivere. Davvero. Il nuovo Juventus Stadium, ed il nuovo progetto per quello del Milan, lanciato da Barbara Berlusconi, sono giganteschi (ma anche isolati) esempi di come sia possibile creare nuova economia intorno al mondo dello sport. Protagonista e al centro della rivoluzione, i tifosi, potenzialmente capaci di sostenere il proprio club del cuore se invogliati ad interagire direttamente con la squadra amata.
A spiegarlo in esclusiva per Sport Small.it, un ragazzo appartenente alla next generation del management sportivo che a breve, potrebbe far cambiar faccia al business che gira intorno al mondo delle varie discipline «In Italia esiste un modello chiuso intorno all’economia dello sport – spiega Marcello Guastafierro, bocconiano doc e ora allievo del Master Fifa – da noi tutto è incentrato sulla cultura del risultato sul campo, e a livello economico non si guarda più in la. Le risorse possono essere anche diverse…».(Continua dopo la foto)
A cosa si riferisce esattamente?
«Bisogna guardare altrove fuori dai confini e capire cosa succede. Il lavoro e la passione, prima come allenatore, poi come esperto di economia sportiva mi ha portato a girare il mondo: Stati Uniti, Sud America e i loro modelli che portano introiti sono diversi dai nostri e certamente più efficaci».
Ovvero?
«Tutto parte dalla Fans Base, dai tifosi, che costituiscono il vero patrimonio di una società sportiva. Negli Stati Uniti anche le università hanno i loro tifosi delle varie squadre, e questi supportano gli atleti anche nel mondo scolastico e possono interagire con la squadra».
E portano introiti?
«Perché no, bisogna partire dal concetto che i fans vogliono sostenere i propri beniamini anche nei vari spostamenti, pensate a viaggi organizzati e agli incontri con i campioni del cuore stando in tour con loro, seguendoli nei vari spostamenti e su questo costruirci un piano per il merchandising, non porterebbe forse nuove fonti di guadagno? Certamente si! Lo sport di base, le giovanili per intenderci, rappresentano una risorsa non solo sportiva in questo senso. Da noi alcuni gemellaggi chiedono alle piccole società l’acquisto del materiale sportivo abbinato ad una club (dello sponsor tecnico) e ok, penso però che si potrebbe invogliare il main sponsor del grande club, a dialogare direttamente con le piccole società affiliate, portandogli aiuti in cambio di visibilità diretta e interazioni con la base».
In questo modo, ci sarebbero risorse per aiutare le piccole società e quindi sostenere i nuovi talenti…
«E’ proprio questo il punto. Utilizzare il movimento economico per reindirizzare il denaro anche all’apparato puramente sportivo. Non a caso i grandi club dell’Nba giusto per fare un esempio, sono attentissimi al mondo delle scuole sportive universitarie. L’Nba ci investe perché ci crede».
Quindi in Italia è tutto sbagliato?
«Ci sono società che si stanno muovendo in tal senso, Juventus, Milan, Fiorentina ma anche l’Inter con Thoir, che ha in testa proprio uno sport diverso dal nostro. Nelle Università americane intervengono i privati , in Italia non si esce dal concetto del Pubblico. Le Federazioni quelle più piccole, sono spesso no profit, eppure lo sport è un servizio non solo per la salute ma anche di intrattenimento e non si può tralasciare quest’ultimo aspetto. La serie A va in questo senso in italia, certo, ma si fonda oggi, tutto solo sui proventi dei diritti televisivi e sui bilanci costruiti spesso solo sulla compra vendita dei giocatori, ed è così che un anno ti va bene e un anno no. Gli introiti dovrebbero arrivare dai servizi per i fans, parlo di ristoranti, shopping center e merchandising. Le trasferte organizzate ribadisco, sono una risorsa e sopratutto, costante».
Concetti importanti per un giovane come lei?
«Ho venticinque anni, amo lo sport ed il futuro di quello italiano. Ho giocato a pallone fino a 17 anni. Ho frequentato medie e liceo scientifico dai Salesiani e poi ho concluso un percorso triennale in Bocconi per Business Administration con la specialistica in management. Ora frequento il Master Fifa . Un percorso che prepara al mondo della dirigenza, per club, federazioni, società di consulenza sportiva, multinazionali sportive, fondiarie, fondazioni o per l’editoria».
Perché l’Italia fatica ad approcciarsi ad un modello più americano?
«Le Federazioni sono chiuse e ognuna si accontenta di guardare nel proprio orticello. Con i settori giovanili i club di Serie A intervengono al massimo con uno scambio di logo, non può bastare. I campus estivi ad esempio potrebbero essere il centro per far interagire i fans con i campioni della prima squadra, organizzando session fotografiche col pubblico o altro. Gli eventi dovrebbero essere organizzati dagli sponsor!».
Lei però arriva dal calcio giocato…
«Si ho avuto esperienza come tecnico per l’Inter Campus nel 2009 a New York, ma per lavoro ho girato il mondo dello sport anche in Brasile, Perù, Colombia, Messico e Venezuela. E nel corso dell’ultimo mondiale ho collaborato con Aeg entranteinement, uno dei piu’ grandi colossi di gestione per impianti di intrattenimento del mondo».
La sua passione resta il calcio giusto?
«Si, e ho avuto anche la fortuna di conoscere e fare un campus con Maradona quando ero un giovane calciatore. Per una settimana ho frequentato Diego, un uomo disponibile ma anche un soggetto particolare…».
Tra i suoi maestri c’è stato anche Arrigo Sacchi, giusto?
«Si esatto, ho fatto uno stage anche con lui. Infondo arrivo dal mondo Milan, dove ho mosso i miei primi passi da calciatore, poi ho giocato sempre a Milano per l’Aldini e per l’Enotria ed infine sono finito al Pergocrema, ma dopo un brutto incidente stradale e tre operazioni chirurgiche, ho abbandonato il calcio praticato a 17 anni».